RATATOUILLE Numero 60 - 23 agosto 2019 #annoiarsi

Noioso, come un ombrello antivento.

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Claude Monet dipinge I papaveri nel 1873. A fare da contorno al soggetto principale, che dà il nome al quadro, ci sono due coppie con donna e bambino. Quelli in basso a destra sono, molto probabilmente, il figlio dell’autore, Jean, e la moglie Camille, con l’immancabile ombrellino. Da vedere dal vivo al Musée d’Orsay a Parigi, bellissimo.


La mia mente funziona per immagini, quando poi non conosco l’oggetto di un racconto invento immediatamente piccoli ma elaborati mondi fantastici.

Quando Giancarlo ha citato l’ombrello da ippodromo ho subito immaginato una moltitudine di ombrellini colorati portati con garbo da signore e signorine vestite a festa che, strette nei loro corpetti, sfoggiano ricche gonne di crinolina, elaborate acconciature e piccoli cappelli. Deliziose.

Da questo sciame di ombrellini si alza un cinguettio costante e irriverente, al tempo stesso irritante ed assolutamente irresistibile alle orecchie degli uomini, che, interrotto solo da una solitaria risata squillante, sovrasta e si fonde con il sordo rumore della corsa di poderosi cavalli e minuscoli fantini.

Stavo iniziando a inserire nel quadro circoli di pesanti uomini in cilindro, sigaro e ghette, quando da dietro il banco Giancarlo, con un colpo da artista, sfodera il vero ombrello da ippodromo. E la poesia scompare di colpo.

Sotto la tela in fantasia scozzese spicca il robusto manico in alluminio, lungo circa 90 centimetri, che finisce nell’impugnatura costituita da due grossi anelli-maniglia ricoperti in cuoio. Gli anelli si separano facendo perno alla fine del manico e, aperti di 90°, mettono a disposizione una comoda seduta che trasforma l’ombrello in seggiolino. Per evitare che sprofondi nel terreno il puntale è dotato di un disco che, all’occorrenza, allarga il punto di appoggio, rendendolo stabile.

Bello e utile ma meno affasciante degli ombrellini della mia fantasia.


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Adam Phillips, uno dei più importanti psicologi infantili contemporanei, sostiene che la capacità di annoiarsi permetta ai bambini di crescere, sviluppi la loro creatività, li renda autosufficienti. Esattamente come dice Snoopy, dal 1950. Date retta al bracco più amato al mondo, non sbaglia mai.


Il secondo viaggio l’ho fatto quando, sempre a proposito di ombrelli, siamo finiti a parlare dell’ombrello da Pastore. Immediatamente un moderno Don Camillo, con le scarpe grosse del curato di campagna, rosario e Libro Sacro nella mano destra e nella sinistra un ombrello nero come l’abito talare dal quale mi sorride, si para innanzi a me.

Non faccio in tempo a girare lo sguardo attorno per capire cosa possa fare il gioviale parroco in questa nuova fantasia, quando capisco di aver aggiunto arbitrariamente e a sproposito una lettera maiuscola. Giancarlo non mi parla di ombrello da Pastore ma di ombrello da pastore.

Con pecore, mucche o altre bestie al pascolo.

Un poco dispiaciuto di non aver potuto vagar di più con la fantasia scopro che il vero ombrello da pastore deve esser tutto di legno, comprese le stecche in giunco, per evitare di attirare i fulmini. Deve esser molto solido per non esser rovesciato dal vento. É quindi anche pesante e, visto che dovrà essere tenuto aperto molte e molte ore, la tela di cotone cerato color verde prato è molto ampia così da poter riparare completamente anche quando l’ombrello sia tenuto appoggiato alla spalla. Il manico, intagliato direttamente nel pezzo unico del fusto, ricorda una mazza, dritta e laccata di rosso a delimitar l’impugnatura.

Il rapporto fra pastori e pioggia è conflittuale. La pioggia serve, è la benedizione senza la quale non crescerebbe sufficiente foraggio per soddisfare il gregge. Pensate però quale noia debba essere stare molte ore in mezzo ai prati sotto la pioggia con un enorme ombrello a sorvegliare la mandria che bruca erbetta.

E’ uno dei casi in cui, per quanto sia tedioso, annoiarsi serve, è indispensabile, fa bene. Esattamente come annoiarsi fa bene al risparmiatore.

Paul Samuelson, Premio Nobel per l’Economia nel 1970 spiega efficacemente il concetto: “Investire dovrebbe essere noioso. Non dovrebbe essere eccitante. Dovrebbe essere un po’ come rimanere a guardare la vernice che si asciuga o l’erba che cresce. Se cercate il brivido, prendete ottocento dollari e andate a Las Vegas, anche se non è facile diventare ricchi al casinò, alle corse dei cavalli e nemmeno alla Merril Lynch”. Nemmeno se avete l’ombrello da ippodromo, aggiungo io.

Investire insomma significa individuare la corretta distribuzione delle risorse, l’asset allocation di cui abbiamo parlato nei numeri 22 e 23 di Rattaouille, e poi aspettare il tempo necessario ricordando che, per far fruttare gli investimenti, è necessario tempo, tanto tempo.

Tanto tanto tanto tempo.


“La noia è la malattia delle persone felici;
i disgraziati non si annoiano, hanno troppo da fare.”
-Abel Dufresne

Dopo l’indispensabile buon lavoro preliminare si deve cercare di intervenire il meno possibile, solo quando è utile a cogliere qualche opportunità, lasciando alle scelte fatte il compito di maturare.

Spesso le persone sono portate a credere che investire significhi battere il mercato sul tempo, comprare l’azione migliore nell’istante giusto, vendere al momento perfetto. Sovrappongono l’investimento al miraggio di un rapido arricchimento. Spesso sovrappongono la figura del consulente finanziario con quello del giocatore d’azzardo professionista che, pagato per sedersi al tavolo del casinò al posto loro, dovrebbe battere gli altri giocatori in virtù della sue abilità e competenze e portare a casa il malloppo.

Spesso i risparmiatori credono che investire sia giocare in borsa per guadagnare. In realtà molte ricerche mediche sul DGA, il Disturbo da Gioco d’Azzardo, ad esempio quella ALEA su dati dei Ser.T mostrano come vincer più denaro e aver più soldi non sia la motivazione universale alla base del gioco, patologico o meno, ma solo dell’83% degli intervistati. Ci sono persone, ben il 48%, che giocano per il brivido, per sentir salire l’adrenalina, per il piacere del rischio e per la sensazione d'incertezza che c'è nell’azzardo.

E quando parliamo di incertezza e rischio stiamo parlando di perdere il proprio denaro.

Se è la possibilità di perdere, non di guadagnare, a generare quell’adrenalina e quel brivido di piacere, è conseguenza logica che i giocatori si siedano al tavolo per perdere. Perdere è, per molti giocatori, l’obbiettivo del gioco. Uscire dal tavolo (mercato) o star lì a guadagnare poco non diverte. E’ noioso.

L’investimento non è un gioco, è lo strumento indispensabile per mantenere nel tempo il valore del patrimonio, frutto della fatica e del lavoro nostro o di qualcuno prima di noi, per metterlo al servizio delle nostre esigenze di vita e di chi verrà dopo. E’ il passaggio di una fiaccola che illumini la nostra strada così che resti accesa fino a quando serve a noi e a chi, dopo, potrà portarla un po’ più in là.

E senza cedere alla tentazione di volare via con la fantasia, per quanto sia divertente, è indispensabile proteggere quella fiamma nel tempo, tenendo sempre a portata di mano un buon ombrello.
Da ippodormo o da pastore, automatico, pieghevole, classico o reversibile, purché sia pensato e costruito attentamente per la vostre esigenze e che un esperto, il nostro Giancarlo, possa aiutarvi a scegliere quello che fa per voi. Non il giocatore ma il consulente finanziario, quello che vi annoia chiedendovi sempre quali sono i vostri progetti di vita e quando volete realizzarli. Quello che vorrebbe parlare sempre di tempo e non di guadagno, di rischio e non di rendimento.  

Non sarà divertente, non vi renderà improvvisamente ricchi ma vi terrà all’asciutto.
Come un noiosissimo ombrello antivento, che ogni tanto si ribalta ma non si rompe.

Alla settimana prossima,
Nicola